Un altro eccezionale ospite ha reso speciale, il 25 novembre, la manifestazione “La notte dei racconti”, organizzata dal nostro Istituto: si tratta di padre Enrico Bonfigli dell’ordine dei frati francescani minori e cappellano carcerario. Padre Enrico, che è stato intervistato dalla docente Laura Caporalini, svolge questo delicato ruolo da ben 12 anni: per otto anni è stato presso il carcere di Pesaro e da quattro presta servizio presso la casa circondariale di Ancona. La sua testimonianza è stata per i ragazzi e la collettività tutta occasione preziosa di conoscenza sia della figura del cappellano, poco familiare, sia delle problematiche e dei vissuti caratterizzanti la dura realtà detentiva. Proprio nel carcere, luogo principe dello sconforto e della solitudine umana, in cui la mente e il sentire diventano preda della disperazione, Padre Enrico concede uno spazio di ascolto e di dialogo, alleviando la pesantezza della segregazione e la paura del non senso. Spiritualità e carcere diventano due realtà che si incontrano.
Al cappellano viene spesso richiesta anche la cosiddetta “assistenza materiale”. I reclusi, specie quelli indigenti, necessitano di beni essenziali, quali vestiario, scarpe. Dal corpo allo spirito, il cappellano, suo malgrado, costituisce spesso l’unico punto di riferimento per molti detenuti altrimenti abbandonati a se stessi. Ciò implica una certa strumentalizzazione della fede da parte dei carcerati, ma comprensibilmente giustificata dalla negata libertà. La sofferenza si accresce ancor più nel distacco dalla propria famiglia e dai propri figli. Nel caso dei “padri dietro le sbarre” il cappellano diventa addirittura essenziale. L’attesa di una lettera, la possibilità di un colloquio anche per soli 10 minuti al telefono, la speranza di ricevere una visita, il sogno di tornare a casa. Questo è essere padri dietro le sbarre: vivere ogni giorno in funzione di ciò che permette di mantenere, o in certi casi ricostruire, un contatto con i propri affetti in un luogo in cui lo spazio per le relazioni è ridotto a pochi metri quadrati e a quattro ore d’aria al giorno, quando permesse. La misura restrittiva della libertà coinvolge e travolge anche la vita dei figli costretti a confrontarsi con l’assenza della figura paterna, talvolta fin dai primi anni di vita. L’offerta di fede e conforto, di appoggio morale e materiale del cappellano diventa finestra essenziale sul mondo esterno e per alcuni detenuti punto di partenza per rinascere, riscattare la propria condizione e comprendere la portata dei propri errori.
Seguendo la scia del racconto e la narrazione dei vissuti ad esso sottesi abbiamo il dovere di ricordare che dietro le sbarre non ci sono solo reati, ma persone. Perché dunque un cappellano si reca in carcere? Per lo stesso motivo per cui andrebbe in qualsiasi altro posto: per incontrare l’altro.
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